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Edizione 1999
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Il Metraggio
Cinematografico
(Per una Definizione di Cortometraggio)
a cura di Davide Tofani
Lunghezza del film, o di singole parti dello stesso, espressa in metri. Per la pellicola
professionale di 35 mm, alla velocità di scorrimento di 24 fotogrammi al secondo, un
minuto di proiezione corrisponde a 27, 36 m, un'ora a 1641, 60 m. Su tale base i film
vengono divisi in lungometraggi (oltre i 70 minuti), mediometraggi (sino a 50-70 minuti) e
cortometraggi (fino ai 15-20 minuti).
Il
Cortometraggio
Secondo molti esperti
conoscitori del fenomeno cinematografico non ci sono differenze fondamentali tra il corto
e il lungometraggio, sia che si tratti di documentari sia di opere di finzione; ogni
alternativa di genere permette comunque una precisa scelta di stile. Lo dimostrano gli
stessi registi che passano dal corto al lungometraggio [e viceversa] con disinvoltura e
senza particolari cambiamenti stilistici, spesso dimostrando meglio il loro talento
proprio cimentandosi in opere brevi, commissionate, o in totale libertà espressiva.
L'importante è che essi comunichino un temperamento, una visione del mondo, una stesura
originale e personale. Il cortometraggio non dev'essere un documento anonimo, dunque, ma
la sintesi di un processo intellettuale e tecnico in grado di comunicare esaustivamente un
messaggio. Henri Agel in diverse occasioni si espresse in tal senso: "Senza dubbio
l'artigiano che è un semplice osservatore, e che è dotato di un capitale intellettuale e
lirico modesto, potrà realizzare dei documentari onesti. Ma i bei documentari li si deve
a ricercatori, polemisti, uomini di scienza, filosofi, poeti, che alla loro investigazione
hanno portato una ricchezza soggettiva che non può non invadere lo schermo. Essi faranno
allora del cortometraggio un trattato, una satira, un'elegia, una meditazione grave e
appassionata". L'idea di partenza è che i registi, documentaristi o di finzione,
siano più esposti non per l'argomento trattato ma per il modo in cui si interpretano la
loro idea.
La distinzione tra lungometraggio e cortometraggio è dunque del tutto arbitraria: nel
1940 in Francia con la "legge 26 ottobre" si definiscono per la prima volta i
tipi di programmazione possibili nelle sale cinematografiche pubbliche. In seguito, nel
1964, sempre ad opera dei legislatori francesi un decreto legislativo stabilirà che un
film è considerato di lungometraggio quando supera i sessanta minuti di proiezione che
tradotto in metraggio [in formato standard] significa 1600 metri di pellicola. Il limite
è così rigido che critici e industria devono creare un nuovo termine che qualifichi le
opere di estensione intermedia, ovvero tra quelle di durata di pochi minuti e i film che
superavano l'ora. Uno dei primi "mediometraggi" [così furono etichettati] fu Il
6 giugno all'alba di Grémillon, un film successivamente distribuito sia in versione lunga
che corta. A conti fatti si potrebbe ricondurre il dibattito sulla differenza tra corto e
lungometraggio a quello che esiste tra novella e romanzo.
Breve Storia del Successo del
Cortometraggio
È stata la Francia a produrre un gran numero di cortometraggi di qualità: da Luis
Lumière ad Alain Resnais e Méliés attraverso Jean Vigo (A proposito di Nizza), Jean
Lods (La vita di un fiume), Charles Rouquier (Il bottaio, Il carraio), Jean Epstain (La
tempestosa), Jean Painlevé (che si cimentò in moltissimi film a carattere scientifico),
Jean Rouch (con film-studio antropologico-etnografici), Paul Grimault (film d'animazione),
il già citato Jean Grémillon (con i documentari sull'arte) e molti altri. Non si deve
assolutamente dimenticare che il cortometraggio è stato, e forse rimane ancor oggi, il
formato più adeguato per le sperimentazioni stilistiche e come sorta di "opera di
presentazione" per moltissimi registi. Negli Anni 50-60 furono i giovani della
Nouvelle Vague a fare le loro prime esperienze con il cortometraggio: François Truffaut
(I ragazzacci), Jacques Rivette (Il colpo del pastore), Jacques Rozier (Blue Jeans),
Jacques Demy (Lo zoccolaio della Valle della Loira) e naturalmente Agnès Varda (Dalle
parti della costa) e Chris Marker (Domenica a Pechino e Lettera dalla Siberia).
Negli Anni Trenta si affermò in Inghilterra la scuola documentaria inglese denominata
G.P.O. sotto la guida e l'ispirazione di John Grierson e di Alberto Cavalcanti. Loro scopo
fu quello di unire lirismo e il senso "dell'osservazione diretta" del fenomeno
avvalendosi di temi sociali scottanti e di lotta come la vita dei minatori o le corse
notturne dei treni postali. Il National Film Board canadese sarà in seguito un degnissimo
sostituito della tradizione documentaristica "corta" della scuola inglese in
progressivo declino ispirativo dopo gli Anni Quaranta. Non dobbiamo assolutamente
dimenticare i contributi dello statunitense Orson Welles prima e del tedesco Wim Wenders
dopo [attivo in tal senso soprattutto negli Anni Ottanta].
In Italia ricordiamo Luciano Emmer, Antonioni negli Anni Cinquanta e non molto più tardi
Monicelli; per il Belgio Henri Storck e Paul Haesaerts; per l'Olanda il militante Joris
Ivens; per la Danimarca lo straordinario contributo al corto di un maestro del cinema,
Carl Theodor Dreyer con il film Hanno perso il traghetto; per la Svezia Arne Sucksdorff
con i suoi brevi documentari sulle città; per l'Unione Sovietica i corti di zoologia ed
etologia e infine da menzionare sono gli Stati Uniti con Scorsese e con il più grande
documentarista di tutti i tempi: Robert Flaherty.
A conclusione di questa breve rassegna storica sulla fortuna del cortometraggio si dovrà
senz'altro riconoscere come il formato "corto" non abbia mai realmente
interessato il grande pubblico né stimolato gli esercenti e i distributori
cinematografici ad investire i propri fondi in progetti di breve durata. Gli Anni Settanta
però hanno creato i presupposti per la rinascita o forse la nascita vera e propria di una
diffusione di massa della "cultura del cortometraggio" grazie soprattutto alla
comparsa del video-clip musicale e degli spot pubblicitari sempre più complessi e
"filmici". È dunque una seconda giovinezza del cortometraggio o parlando di
video e spot trattiamo piuttosto di generi paralleli al corto destinati a categorizzarsi?
Il moltiplicarsi di festival con premi a settore ma anche di scuole di regia specializzate
sembra corroborare la seconda ipotesi.
Il Cortometraggio Politico
degli Anni Settanta e Ottanta
Caratteristica degli ultimi decenni è un approfondita riflessione teorico-politica sul
cinema politico e sull'uso politico del cinema. Molti registi furono presenti in quegli
anni con la loro carica umanistica su tutti i fronti di lotta. Si diffuse un cinema
"militante" deciso a intervenire nel vivo della politica con intenti di
controinformazione e assumendo, in un certo senso, il ruolo di agit-prop. Il
cortometraggio, per questo scopo, assunse un ruolo fondamentale. Gli esempi più risolti
sono stati i film-documento sulle Pantere Nere e sulla contestazione nelle università,
sulla fine dei regimi comunisti e sulle guerre nei Balcani (inizio Anni Novanta), opere
che hanno assunto l'aspetto di veri e propri reportages. Sono tutte lavori di carattere
documentario destinati ai "circuiti alternativi", distribuiti cioè in sedi
politiche, culturali (i cinema d'essai, ad esempio) e sindacali.
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